Biografia

Paola Angelini - Statement

Cosa intendo per pratica pittorica? È come chiedere ad un cieco di spiegare come concepisce una realtà visiva al buio. È un tentativo diverso di toccare le cose, la materia della pittura è la descrizione
che darebbe un cieco di un buio visivo. La definizione per essenza è stata da sempre l’obiettivo di ogni filosofia, quando questo genere di definizione non soddisfa o non si possiede si ricorre alla
definizione per proprietà. Per questa mancanza io procederei con un elencazione per accidenti della materia della pittura.
Il tempo che nella pittura si mescola in sedimentazioni storiche si riattualizza costantemente in un possibile tentativo di entrare in questo concetto di buio.
Realizzare delle immagini con la pittura ha la peculiarità di costruire all’interno di uno “spazio” bidimensionale. Il limite e la possibilità infinita si toccano in un unico punto su di un cerchio e questo genera una costante lotta interiore.
Esiste un’urgenza nel fare pittorico, circoscritto in uno spazio delimitato dalla tela, entro il quale a imbuto tutto converge. La necessità è mossa da un raziocinio fatto ad immagini che deve trovare
un linguaggio necessario per poter contenere un continuo lavorio mentale conscio e non, che ha come scopo la costruzione di nuove “visioni”.
La necessità del fare pittura è mossa da una volontà di sospensione di giudizio immediato sulle cose, da un controllo di coscienza e al contempo la sospensione della stessa; è un operare fisico in
potenziale scegliendo uno spazio possibile.
È per questo che come dice Dumas, “La prima cosa può essere l’ultima”; sottrarre le immagini ad una loro compiutezza per creare una diversa realtà è la terra che non deve mancare sotto i piedi.
Ricercare circolarmente e lasciare aperte nelle immagini una falla vuol dire poter entrare e poter continuare la ricerca sulla pittura e per mezzo della pittura.