Biografia

Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania. Non v’è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v’ènulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. Il sasso, anzitutto, è. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, colpisce e.Ancor prima di afferrarla per colpire, l’uomo urta contro la pietra, non necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La roccia gli rivela qualche cosa che trascende la precarietà della sua condizione umana:un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l’uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo diverso da quel mondo profano di cui fa parte.Quando Lorenzo Aceto ha incontrato questo passo del Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade, vi ha ravvisato come un commento al proprio lavoro scritto con più di sessant’anni di anticipo. Fin dall’esordio infatti l’opera dell’artista è stata abitata da una presenza dapprima intuita confusamente, poi definita con sempre maggiore chiarezza:quella del monolito. Aceto recupera e riattiva nel perimetro della propria opera siffatta concezione sacrale della materia. Egli è giunto a lavorare su questo ventaglio di soggetti a partire da un’investigazione sulla dimensione ambigua delle immagini, svolta dapprima con gli strumenti del disegno e della grafica, successivamente con quelli della pittura. Guidata dal tentativo di rievocare qualcosa di arcaico, la sua ricerca è quindi approdata alla primordialità assoluta, quella della preistoria.