Biografia
Le sillabe di Narciso
Narciso figlio del dio-fiume Cefiso e della ninfa Niriope incorse nelle ire di Era, moglie di Zeus, che gli tolse il dono della parola, con una sola eccezione: poteva ripetere solo l’ultima sillaba di tutte le parole che udiva.
E’ un aspetto del mito di Narciso poco noto. Infatti si pensa a Narciso come colui che, dopo aver respinto molte offerte d’amore, si innamorò della sua immagine riflessa nelle acque del fiume e non riuscì più ad allontanarsene fino a che morì.
E’ il primo aspetto della vicenda di Narciso che ci interessa e che prendiamo come similitudine per parlare dell’opera di Luciano Santarelli.
Santarelli liberamente, e qui ci allontaniamo dalla similitudine, ama prendere un’immagine (l’ultima sillaba?) di tante che il repertorio visivo gli propone e la trasforma in un modello, in un simbolo, in un segno dal pregnante significato semantico.
Il modello-simbolo-segno da significante diventa significato, metafora di un’immagine primordiale, diventa archetipo. L’immagine, dotata di vita propria, indagata, scavata, ridotta all’essenziale da Santarelli, gli si ribella fra le mani ed emerge autonomamente dalla tela densa di pittura materia ed assume ora la forma di un orinatoio, omaggio a Marcel Duchamp?
Ora quella di una castagna, di una pera, di una foglia, di una banana senza cadere, tuttavia, nella trappola sempre tesa delle sirene della popular art o della pittura oggettuale.
Quella di Santarelli è una pittura che riflette su sé stessa, sui suoi motivi interni, sulle ragioni costitutive del suo operare, sul suo luogo per eccellenza, inteso come “lavoro dentro”, come escavo continuo dentro la sostanza della pittura, per dirla con Achille Bonito Oliva.
Le opere di Santarelli sono pensate “come fare” più che come “ progettare” egli è strettamente legato alla sua esperienza umana, al suo gusto, al suo desiderio. Ma si dimostra molto attento a non tradurre tutto in una sterile quanto anacronistica aneddotica privata, anzi il suo bisogno di intimismo, di autobiografismo si trasforma in materia viva attraverso cui giunge alla creazione artistica. Egli non procede per ripetute ed insistite sottrazioni di elementi figurativi ma si serve di velature nel tentativo di contrastare l’emergere prepotente dell’immagine modello-simbolo-segno che si impone con forza e che segna tutta la sua produzione. Dopo aver “ascoltato” l’ultima parola, per usare la metafora di Narciso, l’artista sceglie l’ultima sillaba-immagine e dopo averla “processata” l’adagia sul letto degli strati matrici della sua pittura.
Giancarlo Bassotti