Biografia

La storia di questi lavori affonda solide radici nella creatività artistica che agitava la Firenze degli anni Ottanta. Sulle grandi tavole sono riportati con una minuzia certosina immagini, dettagli, pattern, scritte di cui Pier Paolo Quaglia si appropria per farne strumento di lavoro. Al pari di pennelli, spatole e colori, queste figure sottratte al mondo della comunicazione vengono utilizzate per creare una cosa nuova, completamente diversa dall’originale.
Lo sguardo di Pier Paolo Quaglia, sollecitato dai messaggi frenetici che popolano da tempo le nostre visioni pubbliche e private, riesce a bloccare fotogrammi diversi, congelarli e accostarli in maniera inedita. E filtrarli, rielaborarli, renderli assolutamente altro. Fedele al sempre valido principio di Marshall McLuhan per cui il mezzo è il messaggio, le sue opere sono cariche di un significato radicale, molteplice e, al tempo stesso, universale. Niente a che vedere con concettualismi astrusi. In questo caso, semplicemente, il re è nudo. Con una buona dose di amoralità, visto che con i suoi lavori Pier Paolo Quaglia non pretende di dare lezioni a nessuno, la società viene svelata per quello che è. Messa di fronte ai suoi drammi, alle sue contraddizioni, alla dolorosa e fragile umanità che si legge fra le righe di queste tavole. Da accostare insieme, volendo, in un gioco che invita a pensieri complessi e civetta con l’idea della riproducibilità dell’opera. In realtà niente è più lontano del concetto di automatismo dalla pratica manuale, dalla sapienza artigiana che sta dietro alla concreta fattura di questi lavori.
In fondo, a pensarci bene, la sua ansia esistenziale, il suo sguardo intenerito dalle pochezze umane, la malinconia e il suo alto senso etico non appartengono solo al qui e ora del suo essere un artista europeo della prima decade del secondo millennio. Ma appartengono all’umanità tutta, di ogni epoca e luogo.

Annalisa Rosso