Biografia

Progetto di manifesto: REALISMO DELL’ALTERITA’
Questo progetto vuol mettere in luce, le ombre, l’ignoto, i non so... che accomunano in linea sotterranea persone, culture, religioni, società e politiche diverse celate dalla dimensione contemporanea di obnubilamento e inganno mediatico.
L’arte ha una funzione fondamentale in questo scenario ed è suo compito svelare con intenzione e responsabilità cosa si muove sotto lo smarrimento sociale che coinvolge in maniera trasversale più generazioni. L’arte deve scrollarsi di dosso le etichette commerciali del bell’apparire e del corredo d’arredo, infrangendo le apparenze. E’ dunque necessario sostenere i foschi immaginari celati dal buon costume e guardare all’alterità come base da cui scaturisce il proscenio manipolato dalla coscienza collettiva.
Colpire, graffiare, scalfire l’omologazione delle complesse esigenze morali, strumentalizzate al fine di stimolare un continuo elenco di falsi bisogni a discapito di angosce e paure troppo spesso inascoltate e relegate nelle cantine dei sintomi nevrotici. L’arte ha il compito di fiutare l’autenticità del sentire, continuamente contrabbandato con il nichilismo emotivo delle tensioni interne all'essere, osteggiando falso piacere.
Cercare nello scarto, nella distanza, nel divario, la sostanza, il valore indispensabile alla metamorfosi verso un nuovo senso di identità e coscienza. Lo scarto, aimè, declinato con giudizio negativo in rifiuto, "figlio del “fantasma dell’esubero” (Z.Bauman) e aggiungo: della violenta normalizzazione.

L’arte deve guardare, vedere e conoscere le proprie miserie umane con più capacità di discernimento, distinguendo il falso dal vero e da lì ripartire verso una nuova etica basata sulla relazione, sulla compassione e condivisione reciproca. Ripartire dall’animalità verso una nuova coscienza che non annienta o distorce gli istinti ma se ne fa carico. E che l’arte porti alla luce l’origine, la “ghianda” (J.Hillman), lo spaventoso, celato dalla paura del diverso; e lo mostri, lo promuova, lo esibisca come una bandiera, senza vergogna, senza pregiudizio, al fine di ritrovare l’energia grezza necessaria al desiderio di ricostruzione etica ed estetica.

Che l’arte s’indaghi difronte alla definizione del bello e ai labirinti delle apparenze, mostrando le ombre reali e non la ribellione alle false luci. Non m’interessa ciò che va contro-corrente bensì cosa nasconde l’acqua cristallina avvelenata. L’arte che intendo è priva di anestesie estetiche e belle maniere, non chiede permesso al quieto vivere, è un’arte che cerca un’etica da cui l’estetica non può prescindere. Essa è curiosa dell’ignoto, spuria da ogni processo di derivazione, contraria al nichilismo emotivo che insabbia con una costante spettacolarizzazione del benessere, un mondo, invece, pieno ancora di focolari di guerra.

Un’arte dunque, che non dipinge l’altro ma prende forma dalla consapevolezza e nella tensione della presenza dell' "altro"; che non privilegia l’ego ma che: “determina il valore di una persona nella misura in cui si è lasciata alle spalle l’ego ed è divenuta un Io consapevole” (Einsein). Nel realismo dell’alterità può avere origine una nuova etica di responsabilità e non di colpa, dove ciascuno è al servizio di tutti e viceversa ed è responsabile delle proprie ed altrui diversità, siano esse: razza, malattia, ideologie.... Ma soprattuto, un'arte che cerca, indaga e sosta nelle parallasse*1, negli “scarti delle differenze”.

La persona come l’arte non ha più da vendersi, ha da esistere a da far pensare, riflettere, sostare, cambiare, interagire, interrogare. Essa non ha bisogno di mercanteggiare l’ipocrisia dell’analisi dei significati e dei simboli per un nobel del concetto, dove l’ermeneutica sovrasta l’incanto dell’accidentale e dei non so. L’arte deve evidenziare le insormontabili incongruenze che fanno stridere il nostro essere con il nostro pensare.
Scalfire chi guarda facendo risuonare campanelli d’allarme, emozioni nascoste, anche quelle delle notti insonni, di volti storpi visti per strada e rimasti impressi, di matti fermi a fissare, chi sa che, su un angolo della sedia, di vecchi agganciati ai propri pantaloni larghi, di madri esaurite, di immigrati stanchi e disorientati e di scenari interni alle proprie paure angosce e segreti. E poi guardarsi appesi alla croce, a migliaia sulla cresta di lunghissime colline nere, umiliati, derisi, banditi, ripudiati, sfigurati, feriti, quasi uccisi da uno specchio che riflette solo normali, interi e regolari.

Desy Vanni

alterità 1 40*50 alterità 2 40*50 alterità 3 40*50

le colline nere 65*50
1* Parallasse: lo scarto che separa l'Uno da se stesso. Come può l'ordine esterno, impersonale e socio-simbolico delle pratiche istituzionalizzate e delle credenze essere strutturato, se il soggetto deve mantenere la sua "sanità", il suo "normale" funzionamento? Il problema principale è che la 'legge' base del materialismo dialettico, la lotta tra gli opposti, è stata colonizzata/offuscata dall'idea New Age della polarità degli opposti (yin-yang, e così via). La prima mossa critica è sostituire questo tema della polarità degli opposti con il concetto di 'tensione' interna, scarto, non-coincidenza dell'Uno stesso. Bisogna guardare sotto il dualismo alla differenza minima (la non-coincidenza dell'Uno con se stesso che lo genera.(Slavoj Zizek)

“Ma si dirà: rieccoci, sempre con la stessa
incapacità di oltrepassare la linea, di passare
dall’altra parte, di ascoltare e far comprendere
il linguaggio che viene da altrove
o dal basso; sempre la stessa scelta, dalla
parte del potere, di quello che esso dice o
fa dire. Perché non andare ad ascoltare
queste vite dove parlano di sé in prima persona?”
(Foucault)