Biografia
Sculture come corpi meccanici, ingranaggi che pulsano, una meccanica storia, soffio di vita come miracolo meccanico, in quel battito....dov'è la nostra umanità?
Osservando le opere dell'artista Mavis Gardella percepisco immediatamente un significato di fondo: una crisi antropologica che sta portando le “macchine”a essere più umane degli umani stessi. Considero queste sculture come il limite estremo tra esistenzialismo e metafisica, perché spinge la domanda fondamentale oltre il senso stesso dell'esistere, e perché gli stessi soggetti artistici proiettano i loro corpi plastici se pur meccanici verso orizzonti del tutto nuovi, ed ecco nascere la tensione tra osservatore e osservato.
Come una melodia che pian piano cresce d'intensità fino a raggiungere il suo “cuore segreto”, l'epicentro dal quale la tensione esistenziale trova ragione, c'è una sorta di scala cromatica che nasce dal busto con un “quasi motore”come cuore, in contrasto con l'animale, che invece ancora possiede un cuore “vero”. Questi primi due soggetti già creano una svolta; come una sorta di evoluzione darwiniana al contrario, o se si vuole come lo spirare dell'essenza estrema che dona la vita, potremmo perfino parlare di spirito....di soffio che aleggia sulle acque della creazione, e in questo dinamismo l'animale trova il senso del suo vivere, mentre l'uomo....che dovrebbe essere stereotipo di bellezza, intesa come perfezione, diventa oggetto, diventa cosa, diventa paradosso di se stesso....diventa infine l'allegoria dell'uomo, che non sa più trovarsi, disperso nelle metropoli di cemento, di mondi ferruginosi, di strade meccaniche concentriche, magari di automi che inneggiano un dio meccanico.
Il fruitore è immediatamente chiamato a una riflessione nell'affrontare questo iniziale se pur decisivo impatto: chi l'animale, chi l'uomo?
Non ci sono troppe pause di sospensione, i toni si adagiano certo più su un piano estetico nel Cristo su croce, ma il dramma esistenziale rimane lo stesso. In questo caso il soggetto è l'emblema stesso dell'uomo, il nuovo Adamo secondo la teologia, Cristo...con un corpo che quasi pare voglia scappar via della croce, con lineamenti decisamente plastici, con un reclamo disperato verso l'altro attore dell'opera ossia chi guarda, diventa un Cristo che non parla solo di religione, ma bensì un Cristo uomo comune, semplice, mortale, ma proprio per questo reale, vivo, autentico, infatti in lui batte un “cuore vero”....e quasi il sangue si può percepire attraverso le grate del reticolato che è poi il suo corpo. Cristo come l'animale ha mantenuto qualcosa di puro, in lui non ci sono automatismi, forse perché in lui la coscienza dimora nella verità....”io sono la via, verità e vita...”, con questa verità dovremmo intendere non la certezza a qualcosa, ma alla conoscenza di noi stessi, all'apertura verso noi stessi, alle nostre innumerevoli possibilità, detto altrimenti all'amore che da noi può scaturire per poi coinvolgere-avvolgere l'altro, ed ecco che da due attori (opera-fruitore) l'azione si sposta su tre...lui-l'altro, (cioè il primo attore è l'opera stessa, il secondo attore è chi guarda, il terzo è un'altra persona che riceve dal fruitore il messaggio dell'opera), il motore non sarà allora più il “finto cuore” ma la comunicazione artistica, l'arte un mezzo, l'uomo ritrovato il fine. O forse il “vero cuore”di Cristo non è che una provocazione: il giusto, proprio colui che avete condannato, il reietto, colui che striscia nei vicoli oscuri delle città e della coscienza, è il solo ad essere uomo autentico; ma anche in questo caso il centro di tutto risiede nel domandarci fin dove è giusto assecondare il nostro Io per barattarlo con un cuore certo, insensibile al dolore, se vogliamo alla morte, alla finitudine, ma che non sente, non parla, non ama...Cristo allora ci parla del suo cuore, che invece ha sofferto proprio in nome dell'agape, ne deduciamo che la chiave per l'eternità non è certo nel cuore d'acciaio, ma nel cuore che batte, arde e soffre...questo Cristo mi ricorda moltissimo San Giovanni della Croce – nella notte più nera dell'anima troveremo la luce -.
Altra opera è quella dedicata all'icona della sindone....non è un soggetto metallico, non c'è alcun cuore, ma qualcosa in comune con il resto delle statue credo ci sia: come raggi, fili tesi, gonfiano il telo e proiettano quasi fuori dal riquadro stesso il volto accennato del presunto Cristo; come andare oltre verso dimensioni alternative dello spazio e del tempo, ed è proprio in questa opera che ho notato l'apice del carattere metafisico. Chi osserva viene attratto dalla dinamicità della sindone, che oltre a creare molteplici ponti a-temporali, seziona ogni singolo frammento, quasi sospingendo l'occhio osservatore a scrutare dove solitamente non si guarda....cioè cercare un'alternativa, una strada differente (un altro cuore?), sia sollecita chi guarda a immedesimarsi con il soggetto stesso, quasi a dire: la sindone è il nostro volto, il telone è specchio, e cosa mai può esserci oltre lo specchio? Ecco che in questa opera troviamo il ritratto dell'uomo, è un'opera a mio avviso che un grande valore sociale, perché insegna come l'uomo deve “risvegliarsi”per non diventare l'automa dal cuore meccanico.
La tensione massima però la troviamo nelle ultime tre figure: il busto femminile, il busto maschile, e la sintesi-catarsi del cuore stesso.
Esaminando il “busto femminile”, salta subito all'attenzione un particolare: all'interno troviamo lo scorrere della vita, una gestazione, la cui esistenza è strettamente correlata al pulsare del “cuore meccanico”; sorge spontaneamente la domanda,...e se il senso di ogni vita fosse ridotto a un processo di mera riproduzione, di un 'atto sterile? Quest'opera in special modo comunica un'accesa affermazione della dignità sessuale; intesa certo come estremo dono d'amore verso l'altro, che genera poi un nuovo individuo, ma anche come accettazione della propria intima identità....uomo-donna non più nel dualismo che divide, allontana, bensì l'essere come entità, come forza vitale, la via di fuga si erge nella potenza vitale che crea la speranza di una nuova vita....potremmo dire di un nuovo cuore.
Esaminando il “busto maschile”possiamo invece notare l'intero apparato macchina che lo costituisce: in questo caso è addirittura l'organo riproduttore a essere meccanico. La denuncia cuore-vita, senso ultimo di questa ricerca tutta volta a decantare la spiritualità che può esserci in noi. Colpisce la furia prorompente di impeto dinamico con la quale il pulsare della vita, di ciò che rende l'uomo terreno ma per questo reale, umano, i battiti del tempo come compagni dello scandirsi della vita, un reflusso che, come il sangue pompato, dirama per tutto il corpo dell'uomo, ricordandogli che è creature unica, essere magico. Ma anche il suggestivo collegamento con il pulsare dell'organo sessuale, sono due distinti moti dinamici che possono essere usati in maniera disgiunta o come un fine comune: se c'è cuore c'è sentimento, ed esso è fiamma viva che arde, come una specie di iniziazione, che ricorda tanto il “roveto ardente” della Bibbia, lo spirito di vita che genera la forza propulsiva d'amore che dona il coraggio necessario all'essere per elargire questo stesso incantevole miracolo vitale anche ad null'altro individuo. Vita dunque come rinnovamento anche di noi stessi, come gioia amorosa, e nel sentimento profondo ed eterno dei due amanti, troviamo l'atto di lode a colui che per primo la vita ci ha donato.
L'ultima opera in questione è quella dedicata “al grande cuore macchina”, sintesi e forse anche simbolo dell'intera kermesse: gli ingranaggi interno sono in perfetto equilibrio, ricorda molto il sistema perfetto del corpo umano, e il tutto è impregnato da un forte senso di vita. Ma è pur sempre un cuore alla ricerca della sua umanità, in lui soffia l'amore che genera amore e quindi vita, ma il tutto è fin troppo legato a qualcosa di impulsivo, di frenetico, di retorico, come se avesse dimenticato la poesia di cui è fatto. Dichiarare il messaggio ultimo di questa opera sarebbe banalizzante, perché rischierei di dare un giudizio molto soggettivo, credo infatti che questo “grande cuore”possa davvero parlare ai nostri cuori, quindi è giusto ritirarci per un attimo nel nostro Io più remoto, e ascoltare se realmente i battiti che ci danno la gioia della vita siano qualcosa di più che un semplice tamtam inconsapevole.
Nella mente, come lampi abbaglianti, le sagome delle opere, con i loro spiriti d'umanità ingabbiati nei reticoli metallici, gabbie di contraddizioni, di scandali moraleggianti, di pregiudizi, di false prediche da operetta, di maniaci del possesso, ognuno ha un cuore con la sua gabbia, ognuno è un po' carceriere del proprio spirito, ma una qualche possibilità di riscatto è possibile, ed è proprio su questa unica possibilità che possiamo sospingere il gesto sommo della vita al di là di ciò che la società con i suoi conformismi vuole propinarci.
In definitiva è una scelta nostra: l'uomo di ieri....l'umano troppo umano, come direbbe Nietzsche, può lasciare il posto a un uomo rinnovato, ma siamo poi sicuri che si tratti solo di togliersi una maschera per indossarne un'altra? Forse allora, per concludere, sarebbe meglio affermare che l'uomo che fino ad ora è sttato, è in lotta con se stesso, il distacco che genera diffidenza, una società nella paura, nell'odio, uomini-cloni, che perdono la libertà perchè nei loro cuori dimorano le suggestioni del male, ma questo uomo può anche ritrovarsi, nella gioia del vivere, nell'amore per l'altro, nella musica idilliaca di un cuore che batte per passione.
L'essere non è l'esserci, ma la sostanza gioca il ruolo della cartomante, scoprendo di volta in volta le carte del nostro destino; l'essere trova la sua amante, l'essenza....l'essere e l'essenza germogliano un figlio, l'essere è l'essenza, il resto è poesia che spetta a noi scoprire.
di JACOPO CATOZZI
mavis gardella( cell.3289535434)