Biografia
Ho deciso di muovermi nel territorio che spazia tra decostruzione e ricomposizione dei segni e ho situato il mio lavoro su uno sfondo rischioso e ostico per il gusto contemporaneo, scegliendo di privilegiare la memoria familiare, il diario privato, la dimensione domestica.
Nel lavoro video Se queste mura potessero parlare del 2005, la matrice architettonica semplificata era costituita da tasselli/frammenti di un mosaico mobile formato con spezzoni di filmini in formato super8 girati per celebrare la ritualità familiare. Anche in questo lavoro si rivelava la distanza temporale e fisica che mi consente di riconquistare una calma apparente e permette al lettore/spettatore di ricostruire il senso. Il visibile, un perimetro in movimento febbrile invita (proprio perché costretto) a ridefinire le modalità con cui guardiamo il mondo. Sottrarre alla visione, riconquistare la distanza, dispiegare un’altra logica dello sguardo.
Autofocus, un video del 2006, è per lo spettatore un video-autoritratto, un gioco realizzato per alternare dramma, stupore e ironia. Appaiono in successione due ritratti fotografici, i primi piani di un uomo e una donna, i miei genitori. Su entrambi le immagini cerco di sovrapporre il mio volto attraverso l’analogo elettronico della doppia esposizione, avendo come punto di ancoraggio lo sguardo. La memoria delle immagini fisse sembra dettare legge come un basso continuo fino a che, all’improvviso, l’ombra in movimento, quella più leggera e in grado forse di suggerire una energia nascosta, svanisce, scivola fuori dall’inquadratura e viene a chiederci se siamo ancora vivi.