Biografia
Silvia Abbiezzi è nata nel ’66 a Milano dove vive e lavora. Diplomata all'Accademia di Brera, ha insegnato “figura disegnata” in un Liceo Artistico della sua città, esposto in Italia e all’estero ed è stata premiata in concorsi nazionali e internazionali.
Nella sua ricerca artistica, curiosità e autocritica si manifestano attraverso pittura e fotografia, scultura e installazione, video e performance.
La sua opera si distingue per una marcata tendenza alla sperimentazione mai gratuito che si esprime attraverso l’impiego di tecniche e materiali di vario genere: lastre radiografiche, frammenti di stoffa e plastica, gommapiuma, filo di sutura, oggetti di recupero… Sulle sue tele campeggiano corpi femminili destrutturati eppure integri e riconoscibili nella loro iconicità che trae spunto da culture differenti.
Lo sguardo di quest’artista, dall’acuta capacità analitica, è rivolto spesso allo studio della ‘disgregazione’ dell'immagine femminile, tipica della comunicazione commerciale e non. In un’epoca in cui l’artificiale prevale sul naturale, la rappresentazione del femmineo rigetta la retorica del corpo-merce, è pura analisi introspettiva, occhio che scava nel profondo.
Tema ricorrente è quello della “bocca cucita”, simbolo di una comunicazione che ha perso la sua funzione riducendosi a vuota chiacchiera: specchio di una società in cui il neolinguaggio livella il fondamentale e l’insignificante, il valore e l’effimero.
Le tematiche ambientali sono affrontate con lo spiccato spirito critico che la contraddistingue. L’osservazione del paesaggio urbano e la denuncia del’irreversibile deterioramento dell’ambiente e dell’atmosfera l’hanno portata a vincere il 1° premio “città dell’aria” nel 2007. Nel 2008 è ospite del Museo del Lago di Verbania con un’installazione “site specific” in cui la protagonista è l’acqua, rappresentata attraverso icone evocative (reti da pesca, rifiuti di materiale plastico, il suono registrato di un piovasco, ecc.), attorno a un inconsueto altare rivestito di carta riciclata e sormontato da un numero indefinito di bottiglie di plastica blu semivuote e lumini accesi. L’insieme rimanda a un’immagine, colma d’inesprimibile pathos, di “veglia sulla natura morente”, sottolineata dal rumore costante della lieve pioggia, simile a una sommessa preghiera.
La riflessione sul tema dell’energia come risorsa in via di esaurimento si traduce nell’immagine di un utopico ambiente popolato da miriadi di “pesci neon” che, nuotando in tubature trasparenti intrecciate intorno all’intero pianeta, lo illuminano. Questo ambizioso progetto si concretizza in un tubo al neon di forma circolare riciclato e ormai privo di luminosità, che lascia tralucere i “pesci neon” dipinti ad acrilico con l’ausilio di colori fosforescenti, a sottolinearne la naturale luminescenza.
Le sue installazioni si concretizzano attraverso l’impiego di materiale riciclato, organico e inorganico, con una predilezione per la plastica, spesso prelevata direttamente da bidoni dell’immondizia, alludendo, così, alla Trash-art.
Riccardo Infante (storico e filosofo), 2009