Biografia

Elena Pizzichelli, nata a Roma nel 1985, studia Estetica alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre. Il suo interesse per l’arte sconfina fin dalla giovane età dal mero studio teorico all’applicazione pratica. Si mette alla prova con lo studio del paesaggio, prediligendo l’uso del colore acrilico esaltato dalla raffigurazione di tramonti e crepuscoli, lì dove la luce abbraccia il confine con l’oscurità. La velocità d’esecuzione consentita dalla scelta della tecnica pittorica ed espressa con una produzione vorace di tele viene abbandonata a favore di un ritorno alla tradizionale tecnica ad olio nell’incontro con il maestro Claudio Valenti. La sinergia che si produce le fa abbandonare il paesaggio ed esplorare la forma ritrattistica, senza tuttavia tralasciare l’interesse originario. Il volto è inteso infatti da Elena Pizzichelli come un “paesaggio di segni” che trascende l’umano in favore di un’esplorazione che trasforma il viso in un vero e proprio panorama. Ciò che interessa l’artista non è dunque “emotivo” ma formale: il volto è un paesaggio di luci, ombre, forme, colori dove gli elementi im-mobili - lo scheletro, la pelle, gli occhi, le labbra - vanno a costituire punti fisici d’interesse alla stregua di laghi, asperità, dune di sabbia.
La costruzione del volto avviene in maniera scientifica, come un creatore immaginario costruirebbe una montagna o un architetto una città. La particolare tecnica “a velatura” mira alla trasparenza degli elementi con un procedimento ad aggiungere. Strati “geologici” di materia vengono sovrapposti per togliere peso ed arrivare all’essenza mentre il colore che nasce dalla livida e cupa palette dei viola segna l’inaspettata distanza dal reale per arrivare alla luce della natura.
L’evento al quale si assiste è una moltiplicazione del “falso” a partire dal punto di partenza originario, la foto. Eseguite dall’artista stessa o “prese in prestito”, le foto sono già l’icona di un modello in carne ed ossa, il primo filtro con la realtà. Nel quadro la distanza raddoppia e la ferita tra reale e virtuale si fa ancora più profonda proprio perchè millimetrica, come un taglio subito da un rasoio.
La perturbante drammaticità dell’immagine riprodotta è svelata da una certa noncuranza nei confronti di alcuni dettagli - una chioma trascurata, un collo appena abbozzato - che consente ai tratti distintivi di stagliarsi dal fondo. Le lentiggini di Water Boy che sembrano applicate posticce all’ultimo momento, il blu surreale che invade la fronte di Half Pink, gli occhi avorio nel dilagar d’inchiostro di Dark Matter in the Sallow Dream, esaltano la sfocatura di un disinteresse che affonda le sue radici nel percepito-in-parte o del tutto non-percepito. Una distrazione funzionale, una frattura, l’Errore.
L’ Errore, l’imperfezione dello sguardo è la cifra artistica che consegna questi ritratti allo “stato dell’arte” strappandoli al manierismo asettico che nella perfezione della tecnica si discosta sempre più dall’uomo.
Elena Pizzichelli, coi suoi ritratti obbliga lo spettatore ad una “messa a fuoco” guidata che ne instrada lo sguardo verso un dettaglio prestabilito interrompendone il vagabondare senza meta. Mima con un tranello una visione alla quale è già abituato ma che sta lentamente perdendo nel moltiplicarsi tecnologico delle immagini e dei volti virtuali. Quello col quadro è dunque un incontro, l’occhio tradizionale che si ferma come una telecamera e mette a fuoco, mentre al contempo trascura qualcosa che inevitabilmente andrà per sempre perduto.
Più vero del vero diviene dunque lo sguardo, raddoppiandosi nell’esecuzione e nella visione, in un gioco di scatole cinesi che fa penetrare lo spettatore fino all’ultimo strato del reale.
La pittura di Elena Pizzichelli si installa nel paradosso della finzione, studiando l’oggetto tramite una costruzione fasulla che mira a smascherare la fallibilità dello sguardo e insieme celebrarne le funzioni, proprio lì dove il distacco si fa impercettibile, nel luogo angusto dove il falso si trasforma in verità.
A cura di Marta Benvenuto