L’anima dei non luoghi
Inaugurazione 9 Luglio 2013
ore 19.00
Finissage 21 Luglio
Superficie vs Profondità
Corrado Veneziano, con la pittura, ha trovato la sua forma più compiuta e diretta di espressività.
Dotato di una solida esperienza teatrale (avviata come allievo e come assistente alla regia al Piccolo Teatro di Milano, e più volte poi con la Biennale di Venezia-Sezione Teatro); arricchito da una più recente frequentazione con la multimedialità (con suoi lavori diretti per la Divisione Ragazzi di Rai 3); con una competenza accademica fortemente declinata sulla fonetica (e i segni, i tratti distintivi della comunicazione verbale), la pittura di Corrado Veneziano sembra annettere e sintetizzare tutte queste spinte: con una figurazione attenta a spazi e proporzioni, una luce che dinamizza linee di fuga e prospettive, una cromaticità che dialettizza con il palcoscenico, la fotografia, il cinema.
Anche la sua esperienza di docente – di alfabeti, codici, canoni – si riverbera (mimetizzata e insinuante) nella struttura delle opere: con immagini lineari, geometriche, immediatamente percepibili e allo stesso tempo (a ben vedere) tutte – tra echi-ombre-aporie – da indagare, riscoprire, decifrare.
Attraversata da elementari percezioni e successivi, ricercati disorientamenti, le immagini di Veneziano finiscono così con il produrre un effetto di fascinoso disturbo: allusivo e perturbante nel loro ripetere oggetti, dettagli, cose già (troppo?) note; e nel mostrarne ancora un angolo di non svelata e avvolgente bellezza.
E allora asfalti e tombini, saracinesche e strisce pedonali, piastrelle e tronchi d’albero – finanche il retro di un camion di rifiuti – finiscono col determinare un’attrazione (una bellezza, un’anima) di cui non avevamo tenuto conto; quasi a ricordarci che l’eleganza, la poesia, la delicatezza del mondo nel quale siamo avvolti sono qui, attorno a noi, indistintamente disseminate. E tutto ciò nonostante e al di là della consapevolezza – anche questa presente nei lavori di Veneziano – di una finitezza irriducibile e implacabile.
In questa direzione, le opere possono essere definite a tutti gli effetti “classiche” (con un gusto quasi rinascimentale di equilibrio e rigore della forma) e contemporaneamente modernissime e dirompenti: ad avviare, partendo da punti e linee di kandinskijana memoria, un viaggio fatto di rallentamenti, pause, sospensioni: in un universo troppo piccolo nel quale adagiarsi; e in un “qui e ora” troppo vasto per rassegnarsi a non poterlo – tutto – esplorare.
Corrado Veneziano, con la pittura, ha trovato la sua forma più compiuta e diretta di espressività.
Dotato di una solida esperienza teatrale (avviata come allievo e come assistente alla regia al Piccolo Teatro di Milano, e più volte poi con la Biennale di Venezia-Sezione Teatro); arricchito da una più recente frequentazione con la multimedialità (con suoi lavori diretti per la Divisione Ragazzi di Rai 3); con una competenza accademica fortemente declinata sulla fonetica (e i segni, i tratti distintivi della comunicazione verbale), la pittura di Corrado Veneziano sembra annettere e sintetizzare tutte queste spinte: con una figurazione attenta a spazi e proporzioni, una luce che dinamizza linee di fuga e prospettive, una cromaticità che dialettizza con il palcoscenico, la fotografia, il cinema.
Anche la sua esperienza di docente – di alfabeti, codici, canoni – si riverbera (mimetizzata e insinuante) nella struttura delle opere: con immagini lineari, geometriche, immediatamente percepibili e allo stesso tempo (a ben vedere) tutte – tra echi-ombre-aporie – da indagare, riscoprire, decifrare.
Attraversata da elementari percezioni e successivi, ricercati disorientamenti, le immagini di Veneziano finiscono così con il produrre un effetto di fascinoso disturbo: allusivo e perturbante nel loro ripetere oggetti, dettagli, cose già (troppo?) note; e nel mostrarne ancora un angolo di non svelata e avvolgente bellezza.
E allora asfalti e tombini, saracinesche e strisce pedonali, piastrelle e tronchi d’albero – finanche il retro di un camion di rifiuti – finiscono col determinare un’attrazione (una bellezza, un’anima) di cui non avevamo tenuto conto; quasi a ricordarci che l’eleganza, la poesia, la delicatezza del mondo nel quale siamo avvolti sono qui, attorno a noi, indistintamente disseminate. E tutto ciò nonostante e al di là della consapevolezza – anche questa presente nei lavori di Veneziano – di una finitezza irriducibile e implacabile.
In questa direzione, le opere possono essere definite a tutti gli effetti “classiche” (con un gusto quasi rinascimentale di equilibrio e rigore della forma) e contemporaneamente modernissime e dirompenti: ad avviare, partendo da punti e linee di kandinskijana memoria, un viaggio fatto di rallentamenti, pause, sospensioni: in un universo troppo piccolo nel quale adagiarsi; e in un “qui e ora” troppo vasto per rassegnarsi a non poterlo – tutto – esplorare.
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