La modernità ha inseguito a lungo la “macchina”, apogeo economico-sociale del contemporaneo, ma l’agognato progresso si è perso nell’apocalittico scenario di un’asettica era post-moderna. La visceralità tematica ed esistenziale trova, in Antonio Vecchio, un’antitetica manifestazione nell’astrazione di “macchie ferrose unte di progresso e cemento”. Un simile approccio stilistico non indica una suggestione emozionale, ma la diretta testimonianza di un’inevitabile presa di coscienza: l’industria come potente sovrastruttura umana.
La tela ci catapulta in un paesaggio metafisicamente monolitico, che nelle sue stratificazioni, da una parte subisce il peso dell’attuale condizione umana, dall’altra sembra volerlo dissolvere nella frammentazione propria della Natura. Ecco allora la sostanza di un più duro sguardo sul mondo, critica ad una società che ha smarrito la sua civiltà nell’alienazione di sinistri totem.
Rossella Della Vecchia
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