Come spiega la curatrice nel testo critico della mostra ‘Marchioni non trasforma la materia ma la spinge a ‘sperimentare’ le sue più inaspettate possibilità visive, la porta alle estreme conseguenze, la scompone e ricompone a suo piacimento, ricostruendo ‘un senso dell’ordine’ senza però interferire con l’originale, preferendo invece rispettarne la sua integrità.
La sensibilità del lavoro di Margherita Marchioni è da ricercarsi nella visione ottimistica che ha nei confronti di tutta la materia, nel riuscire a prolungarne l’esistenza, e a caricarla di colori con risultati sorprendenti. L’artista scuote il comune senso del vedere, scardinando le regole comuni del nostro sentire gli oggetti nella loro scontata finalità di uso.
Il titolo scelto dall’artista per la mostra ‘Io me Kahlo’ è un ironico gioco di parole che richiama da una parte una sua recente esperienza in Messico, di cui le amache presenti in mostra sono una chiara allusione; e dall’altra l’espressione tipicamente romana ‘calarsi’, intesa come drogarsi, cosa che le viene spesso imputata di fronte alla maniacalità della sua tecnica esecutiva.
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