20 June 2015
Mavis Gardella risulta essere uno scultore ormai affermato sulla scena internazionale: è tale non certo per proporre una ripetizione didattica e didascalica, quasi scontata, di una monotona routine che si auto rigenera come rito meramente tecnico, ma, bensì, per inventare, nel senso etimologico del termine, una nuova creazione scultorea, una trasformazione dell’esile materia, un filo di ferro, in qualcosa di diverso, di inatteso, di dinamico, non fissile. Mavis dal punto di vista stilistico può porsi nel solco di due correnti culturali, una più tradizionale, la classicità espressa da forme religiose di un pensiero che si fa trascendente metafora delle vicissitudini del reale, e una più astratta, che vive di funzioni sperimentali tali da addentrarci in nuove prospettive da un’intensità lirica che ci traspone e propone tutta la poetica di una costruzione materica e di un’elaborazione artistica tangibile quanto plastica. Parlavamo di una certa mobilita’, di un dinamismo nelle installazioni tali da donare a esse una certa vitale energia, un’autonoma esistenza grazie al gioco e all’utilizzo non scontato, non banale, non prefigurabile della materia e della tecnica che innerva la prima dandole un movimento, infondendole un’anima, un cuore pulsante meccanico. L’essere umano è il soggetto che si ripete e ripresenta in varie installazioni di Mavis: la materia, esile e filiforme, diventa elemento base di un alfabeto estetico che si fa narrazione allegorica dell’essere umano stesso, in tutte le sue accezioni e contraddizioni che rendono lo stesso un coacervo di significati e significanti, di opposti eterni che si confrontano, scontrano, incontrano, creando quella tensione che si genera da una visione di poli opposti, di contenuto antitetici, di antinomie reali che diventano catarsi di un coinvolgimento dei sentimenti e delle emozioni.
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celeste,
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