Dai miei diari: Il colore verde dei quadri
03 November 2021
Ero di ritorno dalle registrazioni di “Carrozza” (dicembre del 2018?) quando d’improvviso mi arriva un messaggio WA. Era un video, un’intervista ad un ormai anziano Akira Kurosawa, che spiegava l’importanza di progettare le cose lamentando la fretta dei giovani registi che subito vogliono girare i film.

Stanco di video e fotografia (crisi) sono tornato, dopo tanto tempo, a scrivere canzoni, piccole canzoni chitarra e voce. Cercavo un qualcosa di totalmente svincolato da collaborazioni e laboratori, un qualcosa di puramente personale lontano da tutto e tutti, e scrivere si è rivelata la scelta più idonea. In verità era un’idea che mi corteggiava da un pezzo, però non sapevo cosa scrivere: di certo non sono così sensibile da poter fare il poeta né così colto da occuparmi di saggistica né così bravo e paziente da diventare un romanziere. Siccome ho sempre amato suonare la chitarra, l’unica scelta possibile era quella di ritornare (nostos) a scrivere canzoni. Ma avevo ancora qualche dubbio, mi mancava un input, quell’incoraggiamento che mi mettesse definitivamente l’animo in pace ed ecco, mentre ritornavo a casa, sulla tratta regionale per Piacenza, in tarda serata, su un treno ammorbante affollato da una marea di studenti in direzione Bologna: quel piccolo WhatsApp postato da Antonio

Da allora, senza stress, continuo a comporre e registrare questi piccoli brani in compagnia dei miei amatissimi diari dove mi piace scrivere cose che nessuno leggerà mai viaggiando tra paranoie, conflitti interiori e personaggi immaginari.

Antonio D’Antonio (ha lo stesso cognome di Leonardo) è un architetto, grafico, pittore e collega partenopeo che vive nel bolognese. E’ più grande di me, infatti sono molto apprezzati i suoi consigli sull’arte e la scuola, la cui esperienza è assai evidente.

E’ alto e magro con un portamento fine e distinto, gli piace discorrere di cultura e ama dipingere quadri con colori forti e materici dove il verde è predominante.

Ha un fare, come dire, artigianale. Riposante. E’ figurativo, ma nel senso espressionista del termine dove si percepisce un certo surrealismo, almeno nell’opera che qui in alto fa da cover a quest’articolo.

Da colleghi, anche se di ordini diversi, non sono poche le discussioni, mai accese, di storia dell’arte e in queste trattazioni, la sua visione delle cose o della storia, è molto lucida. Alle volte penso che la sua ricerca più che sentimentale sia decisamente storica, conoscitiva.

Non nego però che oltre alle sue tele la ricerca che più mi incuriosiva, era il suo “Kouros itinerante”, questo “Giovane arcaico” che attraversa il tempo spingendosi sempre più verso un futuro ultimo. In questa figura, tutta invenzione di Antonio, percepisco un fascino più incerto, saggistico, concettuale, assorbito da un mash up grafico deliziosamente confusionario. Che dire. Si sa che gli artisti non cercano gli altri ma se stessi, non si tratta di egoismo, ma semplicemente di tormenti e magari, nella pittura, Antonio trova una sua pace.

Antonio D’Antonio è conoscenza antica, me lo ricordo nelle bellissime mostre organizzate da “Lineadarte Officina Creativa” nel primo decennio del Duemila. Quest’ultima, una realtà espositiva ancora attiva sul territorio partenopeo, ricordo che prendeva artisti da ogni angolo dello stivale e del web (c’era equilibriarte.org) e molti di questi, poi, si sono fatti sentire anche in occasioni di livello internazionale. Qui, logicamente, c’eravamo anche noi del Mario Pesce a Fore, all’epoca tutti giovani e belli, dove in tali esposizioni non mancavamo mai.

Lo ricordo benissimo anche alla performance di Mimmo e Barbara ad “Artisti in Vetrina” di Gino Ramaglia, altra grande realtà espositiva totalmente dedicata alla performance art, dove nel 2011, in questo evento, il M.P.a.F. si riunì quasi per intero. Una serata bellissima, forse l’ultima così felice e spensierata tra amicizia e arte. Conservo ancora una foto dove Antonio e Gennaro, quest’ultimo calzato con i suoi pantaloni fucsia fluo, discorrevano di pittura quasi fossero usciti da un quadro di Fantin-Latour.

Antonio mi raccontò che fece parte di un gruppo filo avanguardista con sede a Milano. Che spasso! Mi divertono queste realtà e a pensarci, con tanto revival, non appaiono neanche anacronistiche.

C’è da dire però, sia chiaro, a mia visione, che gruppi e collettivi sono cose del ‘900. Lo dico con un pizzico di nostalgia, ma nessun rimpianto.

Un artista in rete afferma che il lavoro di gruppo a lungo andare rischia di diventare cannibalismo. Forse è vero. Ma indipendentemente da questo o dal Novecento, anche se sono un inguaribile novecentesco, ho “imparato” a camminare da solo, non sempre è facile e divertente, però si vive tranquilli.

Alle volte io e Antonio ci incontriamo al bar per parlare d’arte…

Il tempo è come quella chitarra piena di polvere che Richard Gere trovò su un vagone merci in “Io non sono qui”, se non conoscessimo il film potremmo dire: chissà di chi era quella chitarra.

Ogni volta che racconto qualcosa o qualcuno, scivolo sempre altrove e sapete dove? Nei pensieri del tempo. Come sono poetico o meglio patetico, ma questi sono i deliri che spesso scrivo nei miei diari: anche perché solo questo posso scrivere.

Ma la cosa più bella è che viaggiano confusi con me, nel presente.

Siamo tutti così vicini, eppure, abbiamo un’innata capacità di perderci tra la gente e le parole. Non sarebbe male però, se come quella chitarra, queste emergessero per sempre.

Donato Arcella

Opera di Antonio D’Antonio

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