"Come tutti i miei volti, non ci sono gli occhi ma.." é la frase di Sarhtori che introduce l'opera. Innanzitutto come ho incontrata la tela col "mio sguardo", qualcosa mi ha riportato alla outside art o l' art brut, l'arte dettata dalla cosiddetta immediatezza dell'organizzazione dell'oggetto da riportare su tela ma si è fermato subito qui il pensiero, nulla era da aggiungere a ciò.
Perche gli occhi? Lo sguardo è il senso che per primi ci tiene legati al mondo, all' "Esser-con"; quando manca lo sguardo, manca il nostro mondo, quello condiviso. Se lo sguardo non è catturato entra subito in gioco qualcosa di inquietante, perche talmente personale da non poter esser "Con-diviso". La sua opera raffigura, secondo me, qualcosa di profondamente angoscioso, di irrappresentabile per quanto potente possa essere
l'esigenza di emergere. I colori, lasciando al giusto gusto personale la compiacenza, conservano sempre, in ogni pennellata, il compito di rappresentare un confine, netto, pulito, assolutamente non sfumato nel suo prossimo.
Tutta l'organizzazione è improntata sulla copertura. Il vero volto di questa donna è dietro tutto cio che si vede in questa tela; perció colpisce quell'accenno di possibilità, che l'artista ci concede raccogliendo una nostra speranza, forse anche sua, dello sfogliare - partendo dalla plica cosi evidente sulla guancia sinistra - gli strati che obnubilano il senso del comune vedere, aspettarsi. Il fuoco è nella luce del naso, oggetto quasi umano, che lascia in me la speranza di battersi contro quello che sembra voler rappresentare un "buffet delirante" e che come tale, nella sua polimorfa allucinazione, lascia speranza di
ritrovar la carne e con essa la figura, il profilo che quegli occhi mancanti non ci permettono di godere ma ci concedono di immaginare. Un opera interpretatitamente significativa, dai profondi aspetti psicologici in essa magistralmente espressi. Complimenti.
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